Sinapsi alterate dal coma
farmacologico
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 20 febbraio
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il cosiddetto “coma farmacologico” è
una pratica anestesiologica adottata di routine nelle unità di terapia
intensiva, col nome di prolonged medically induced coma (pMIC). La nostra scuola neuroscientifica si è sempre
opposta a questa definizione per almeno due ragioni di assoluta importanza[1]: 1) il coma è una condizione patologica con uno spettro di possibili cause
e una dimensione clinica che corrisponde a una diagnosi ben precisa e a un
quadro nosografico che non consiste solo in un’abolizione della coscienza; 2) l’anestesia
generale è per definizione uno stato parafisiologico reversibile gestito in
maniera controllata, mentre l’uscita dallo stato comatoso è un evento raro e imprevedibile[2].
L’impiego del pMIC
è stato in passato sospettato di generare un effetto collaterale indesiderato consistente
in un danno cognitivo; più di recente è stata dimostrata la reale esistenza di
questo problema. La certezza del danno e la sua specifica dimensione cellulare
non hanno ottenuto fino ad oggi un adeguato supporto da indagini sperimentali.
Un correlato neuromorfologico di livello sinaptico è
stato individuato e dimostrato nell’età più precoce della vita, quando si
ritiene che il cervello sia ancora altamente plastico. L’opinione prevalente in
questo campo di studi è che le sinapsi vadano incontro a crescente
stabilizzazione nello sviluppo dall’infanzia all’età giovanile e, pertanto, il pMIC non abbia alcun effetto significativo sulla dinamica
delle sinapsi cerebrali nelle persone adulte. Tuttavia, è stato osservato che
lo studio sperimentale di maggiore durata, fra quelli fin qui condotti sui
cambiamenti sinaptici associati a MIC, ha valutato una terapia anestesiologica
della durata di circa 6 ore.
Su questa base, Michael Wenzel e
colleghi hanno stilato un protocollo sperimentale per lo studio del pMIC nel topo, simulando in proporzione la durata degli
interventi terapeutici effettuati sull’uomo. Lo studio ha rivelato che il
trattamento protratto altera l’architettura sinaptica della corteccia cerebrale
e la capacità di riconoscere gli oggetti nei roditori di tutte le età.
L’interesse per questo studio
dovrebbe essere di tutta la comunità medica, e dovrebbe suggerire la
realizzazione di regimi anestetici specificamente studiati e calibrati per ogni
singolo paziente cercando di ridurre al massimo la durata, e dovrebbe altresì indurre
a concepire la ricerca di strategie terapeutiche coadiuvanti per mantenere la
struttura fisiologica del cervello e conservare la corretta funzione di ogni suo
processo durante il trattamento anestesiologico.
(Wenzel M., et al. Prolonged
anesthesia alters brain synaptic architecture. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 118 (7) e2023676118
– Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas. e2023676118, Feb 16, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Neurotechnology
Center, Department of Biological Sciences, Columbia University,
New York (USA).
Per illustrare le caratteristiche delle sindromi collettivamente incluse
nella categoria nosografica del coma, così che si possano facilmente dedurre le
differenze con lo stato di riposo cerebrale indotto farmacologicamente,
riportiamo uno stralcio da un nostro articolo sul caso eccezionale di Munira Abdullà uscita dal coma dopo
27 anni:
“Lo studio della fisiopatologia del coma si basa
soprattutto sulla nozione del ruolo nel risveglio, nella veglia e nell’allerta
del sistema reticolare attivatore (SRA) scoperto da Moruzzi e Magoun e costituito prevalentemente dalla formazione
reticolare mesencefalica e dai nuclei talamici a proiezione diffusa, che
inviano impulsi a tutta la corteccia cerebrale, determinandone l’attivazione
necessaria ai processi mentali coscienti. Coerentemente con questa concezione
neurofisiologica, la distruzione o la grave compromissione funzionale del
sistema reticolare attivatore o di un gran numero di neuroni corticali in entrambi
gli emisferi causa gradi diversi di perdita della coscienza. Una base
patologica comune, con differenze prevalentemente quantitative tra i vari gradi
di perdita della funzione psichica che esprime la consapevolezza del soggetto,
giustifica uno studio non separato per stati clinici, anche se si comprende la
necessità e l’utilità di indagini strumentali specificamente riferite al coma
profondo, allo stato vegetativo e alla condizione di minima coscienza.
L’anatomia patologica ci fornisce un vero e proprio
paradigma di base che riconduce tutte le alterazioni responsabili del coma a
due tipologie: 1) danno macroscopico; 2) danno submicroscopico.
Nella categoria del danno macroscopico, caratterizzato
da lesioni strutturali circoscritte al tronco encefalico superiore e al
diencefalo inferiore o diffuse negli emisferi, si possono distinguere tre
tipi o configurazioni della patologia.
Nel primo tipo si riscontra sempre una grande
massa sviluppata nella compagine degli emisferi o intorno alla superficie
emisferica, interessando una parte relativamente limitata della corteccia e
della sostanza bianca. Tale massa, nella maggior parte dei casi di natura
neoplastica, può essere costituita da un ascesso, da un massiccio infarto
edematoso, da un’emorragia intracerebrale, subaracnoidea, subdurale o
epidurale, oppure da un idrocefalo ostruttivo. Il meccanismo che genera il coma
sembra consistere in una compressione secondaria del sistema reticolare
attivatore nel mesencefalo o nella regione subtalamica, sia per dislocazione
laterale sia per schiacciamento di queste formazioni da parte del lobo
temporale erniato nel forame tentoriale[3]. Un
meccanismo simile a questo, che è il più studiato, si ritiene intervenga nel
coma generato da masse cerebellari: la pressione determina la dislocazione in
avanti e in alto della regione reticolare troncoencefalica.
Nel secondo tipo, peraltro meno frequente del
primo, si rileva un danno diretto e circoscritto al talamo o al
mesencefalo dei neuroni del sistema reticolare attivatore, per ictus
troncoencefalico da occlusione dell’arteria basilare, per emorragie o danno
traumatico.
Il terzo tipo è l’esatto opposto in termini
anatomopatologici, perché presenta un danno bilaterale diffuso della corteccia
e della sostanza bianca emisferica per encefaliti, meningiti, ipossia, infarti
bilaterali, emorragie, ischemia globale e, più spesso, traumi estesi. La causa
del coma è nell’interruzione delle vie di attivazione o nella distruzione massiccia
e bilaterale dei neuroni bersaglio della corteccia. In proposito è opportuno precisare
che anche una perdita di cellule nervose estremamente rilevante, se è
circoscritta ad un solo emisfero, non determina compromissione globale della
coscienza, perché si verificano forme di compenso, con meccanismi che sono
stati compresi soprattutto grazie alla ricerca condotta su pazienti con
cervello diviso.
Uno studio eseguito da Josef Parvizi
e Antonio Damasio su 9 casi di lesioni circoscritte
ad aree pontine dorsali bilaterali ha suggerito che un danno a valle del
mesencefalo può causare coma, ed ha esteso le aree del sistema reticolare del
tronco encefalico implicate nel risveglio[4].
Concettualmente questa possibilità è stata spiegata sulla base della perdita
dell’input noradrenergico del locus coeruleus[5].
Dopo questa esposizione sintetica delle principali forme
di danno anatomopatologico macroscopico associato al coma, ricordiamo che nel
maggior numero di casi non è possibile rilevare alcuna lesione strutturale
mediante l’impiego delle tecniche di studio convenzionali, pertanto la
fisiopatologia del deficit di funzione psichica globale è attribuita ad alterazioni
submicroscopiche. Scariche elettriche generalizzate (crisi convulsive), anomalie
tossiche o metaboliche causano insufficienza neuronica al livello subcellulare
o molecolare.
L’anatomia patologica ci presenta una base di conoscenza
costituita da cause macroscopiche, emblematicamente rappresentate dai processi
meccanici di erniazione cerebrale[6], e cause
molecolari, che andrebbero accertate caso per caso.
A questi dati di base si possono aggiungere i correlati
elettrofisiologici e morfo-funzionali rilevati nei vari stadi, tuttavia non si
dispone ancora di conoscenze che consentano precise stime prognostiche quoad vitam. In
altri termini, se si applicassero modelli previsionali ai pazienti in coma per
prevedere l’epoca della morte, non si andrebbe molto oltre il grado di
probabilità cui si può giungere per le previsioni nella popolazione generale.
Inoltre, poiché non si dispone di biomarker indicatori della transizione
in una fase irreversibile, come si notava nelle considerazioni introduttive, lo
stato in cui l’encefalo non potrà più recuperare la sua fisiologia vitale può essere
soltanto presunto o desunto da segni clinici, e mai dichiarato con assoluta
certezza diagnostica. La recente sperimentazione con il sistema di perfusione
pulsatile “BrainEx” (da ex vivo), che ha consentito di riattivare
funzioni vitali nei neuroni dei cervelli di maiali macellati da ore, ha
riacceso il dibattito sulla correttezza della definizione di morte cerebrale e,
soprattutto, sulla sua equiparazione alla morte dell’intero organismo[7].
A proposito della discussa diagnosi di morte cerebrale,
si ricorda che è basata su tre capisaldi: 1) assenza di tutte le funzioni del
cervello (inteso come l’insieme di diencefalo e telencefalo); 2) assenza di
tutte le funzioni del tronco encefalico; 3) giudizio di irreversibilità.
Per la verifica dell’esistenza delle due prime
condizioni si impiegano specifici protocolli neurologici[8]. Per la
stima dell’irreversibilità si procede inizialmente per esclusione, considerando
l’overdose di sostanze psicotrope d’abuso e l’ipotermia estrema quali
tipiche cause di coma reversibile, e poi si valutano i danni potenzialmente
catastrofici di traumi, arresto cardiaco ed emorragie cerebrali, che spesso non
lasciano scampo ai pazienti.
È divenuta una prassi costante, nell’accertamento di
morte cerebrale, l’esecuzione di un Test dell’Apnea che, rilevando la
mancata risposta dei nuclei bulbari ad alte concentrazioni di CO2,
conferma la virtuale perdita delle funzioni del bulbo e, con questa, della morte
dell’encefalo[9]. Di fatto,
l’ipercapnia che si crea agisce da stimolo estremo alla respirazione naturale
e, dunque, la mancata risposta conferma che la respirazione autonoma non potrà
più essere ripristinata. Ma, durante l’esecuzione del test, può verificarsi un
fatto drammaticamente impressionante nel paziente già dichiarato morto nel cervello:
d’improvviso solleva entrambe le braccia e le incrocia davanti al petto o al
collo, lasciando di stucco i presenti. Ropper, che
per primo ha descritto questa sorprendente reazione nel 1984, l’ha denominata “segno
di Lazzaro”. Ma non si tratta dell’unica risposta motoria che si verifica
durante la prova, perché si può avere la spinta all’indietro del tronco in
opistotono, con un’espansione del torace che simula un’inspirazione, si possono
avere rotazioni del capo e sollevamento delle spalle.
Si comprende la raccomandazione inclusa nel protocollo
del test di non far presenziare alcun familiare o persona in altro modo legata
affettivamente al paziente: è difficile convincere qualcuno che non abbia
nozioni mediche che una persona che compia quei movimenti sia morta e pronta
per l’espianto degli organi.
Un altro aspetto molto rilevante nel giudizio di
cessazione irreversibile dell’attività encefalica è l’accertamento mediante EEG
del silenzio elettrofunzionale, ossia il rilievo di un tracciato elettroencefalografico
isoelettrico o piatto. Tecnicamente, tale reperto corrisponde all’assenza di
potenziali elettrici maggiori di 2 mV durante una
registrazione della durata di 30 minuti. Sono numerosi gli istituti scientifici
e clinici che richiedono questo esame, ma è in costante crescita, soprattutto
negli USA, il numero delle istituzioni mediche che non includono più nel
protocollo l’EEG isoelettrico, per l’incostante significatività del rilievo. Sono
stati infatti documentati numerosi casi in cui il silenzio elettrofisiologico
della corteccia cerebrale e l’assenza di reazione dell’insieme
diencefalo/telencefalo si associava all’integrità dei riflessi del tronco
encefalico, che impediva di porre la diagnosi di morte cerebrale.
L’EEG piatto, da solo, non indica una perdita di
funzione irreversibile, anzi, soprattutto a seguito di intossicazione da
sedativi-ipnotici (tentato suicidio), grave ipotermia o arresto cardiaco, lo
stato acuto di coma è reversibile e l’EEG può tornare normale nell’arco di
poche ore o, al massimo, della giornata. Per tale ragione, prima di emettere
una diagnosi di morte cerebrale, si consiglia la ripetizione dell’esame dei
riflessi troncoencefalici ad una distanza temporale congrua in rapporto alla
causa”[10].
Dunque, la principale questione neurologica è la
distinzione del coma dalla “morte cerebrale” e, pertanto, non è proponibile l’accostamento
di un sonno anestesiologico a un coma.
Riprendiamo ora lo studio sui danni sinaptici indotti dal mantenimento per
un tempo protratto del cervello in uno stato di influenza narcotica.
Numerose osservazioni hanno rilevato che il pMIC,
attuato nelle unità di terapia medica intensiva, causa danni e deficit
cognitivi nei pazienti, e ormai non si ritiene più che si tratti di un esito
incostante o dovuto ad altre cause concomitanti, ma, a dispetto di questa
certezza, si ignorano le basi neurobiologiche e neuropatologiche dei sintomi
causati da questa lunga sospensione anestesiologica dei processi cerebrali e
mentali connessi con la coscienza. La principale ragione del perdurare dello
stato di mancanza di conoscenza dei correlati neuromorfologici
del danno cognitivo è dovuta all’assenza di studi dei circuiti neuronici
cerebrali sottoposti a più di 6 h di MIC.
Michael Wenzel e colleghi hanno studiato e comparato gli effetti sul
cervello in topi adolescenti e topi maturi di un trattamento sperimentale con pMIC fino a 24 h di durata. La sperimentazione è stata
condotta mediante osservazioni delle sinapsi della corteccia cerebrale con imaging
bi-fotonico longitudinale, poste in relazione con i risultati di
esperimenti comportamentali consistenti nell’esecuzione da parte dei roditori di
compiti di riconoscimento di oggetti.
In estrema sintesi concettuale, i risultati dimostrano che il trattamento
protratto mediante anestesia generale dei topi influiva in modo evidente e significativo
sull’esito delle prove di riconoscimento degli oggetti ed era associato con un
accresciuto ricambio sinaptico, così schematizzabile: 1) notevole aumento
nella genesi di nuove giunzioni neurotrasmissive durante la fase pMIC; 2) rilevante perdita di sinapsi nel periodo
post-anestetico.
In termini descrittivi si può parlare di alterazione dell’architettura
sinaptica dei circuiti della corteccia cerebrale causata dall’anestesia
protratta, quale base neuropatologica di un grave effetto collaterale
determinato da questa misura terapeutica.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE
E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-20 febbraio 2021
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presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Il nostro presidente si è
opposto a lungo all’idea di usare la denominazione palesemente erronea di “coma”,
diffusa per effetto di una moda massmediatica, e ha descritto con una metafora
cara a Joaquin Fuster l’esperienza a un congresso in cui tutti chiamavano “coma”
l’anestesia: “Mi sono sentito come uno che voglia fermare con le mani un’onda
oceanica che gli altri stanno montando con le tavole da surf”. Tuttavia,
confidiamo nella possibilità di un “ravvedimento”.
[2] L’espressione “coma
farmacologico” ha contribuito a creare confusione nella cultura popolare tra il
coma e la terapia mediante anestesia. In Italia esistono delle serie televisive
in cui quasi ad ogni episodio c’è qualcuno che va in coma e sistematicamente ne
esce. A volte lo spettatore si rende conto che gli autori della fiction confondono
il coma vero con la terapia, perché parlano di coma farmacologico e poi si vede
che tutti esultano per “l’uscita dal coma”, come se non fosse una decisione
medica di interrompere il sonno terapeutico, ma la fine improvvisa dello stato
patologico del coma.
[3] Si veda ai capitoli
17 e 31 di Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), 10th ed., pp. 368-370 (Cap.
17), McGrawHill, New York 2014.
[4] Parvizi
J. & Damasio J. R., Neuroanatomical
correlates of brainstem
coma. Brain 126: 1524, 2003. Si consiglia anche la lettura del dettagliato
e ben illustrato studio sulle basi troncoencefaliche
della coscienza: Parvizi J. & Damasio
A., Consciousness and the brainstem.
Cognition 79: 135-159,
2001.
[5] Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels, Klein), 10th
ed., p. 368, McGrawHill, New York 2014.
[6] Per le erniazioni si veda: Adams
and Victor’s Principles of Neurology, op. cit., pp. 368-370.
[7] Note e Notizie 21-09-19 La
riattivazione di cervelli morti mette in crisi la morte cerebrale.
[8] Si rinvia alle trattazioni
cliniche specialistiche per i contenuti di tali protocolli.
[9] Si procede con una pre-ossigenazione di alcuni minuti che elimina l’azoto
dagli alveoli e crea una riserva di ossigeno, poi si interrompe la connessione del
paziente con il respiratore automatico per vari minuti, durante i quali si invia
O2 al 100%. La disconnessione porta la pressione arteriosa di CO2
fino a 60 mm Hg. Il test è innocuo secondo il documento dell’American
Academy of Neurology (2010), tuttavia sono state registrate
aritmie cardiache, ipotensione, ipossiemia e barotrauma.
[10] Note e Notizie 28-09-19 Esce
dal coma dopo 27 anni e riapre questioni mai realmente risolte.